Walter Di Giusto e la persistenza della memoria
II recupero della memoria è un lavoro di lunga applicazione per un artista che intenda giovarsi di questo supporto per ricostruire e leggere la realtà del proprio tempo. Un simile scavo può precipitare il pensiero e l'emozione ( quotidianamente rinnovabile ) nel profondo dei secoli da cui ognuno riemerge per interrogare il presente e interrogarsi.
Da
sempre Walter Di Giusto si avvale di tale approccio per un risultato sulla
tela in equilibrio tra una suggestione apparentemente anacronistica e
una possibile deriva o una conseguenza dal sapore transavanguardista.
Le sue opere degli anni Ottanta sondavano il mistero dell'esistenza grazie
a una rielaborazione del mito sempre collocato tra un reiterato interrogativo
e una ricorrente nostalgia. La ricerca di sé passava attraverso
un Parnaso popolato di sorprese fantasmatiche, di sfumate presenze o di
inganni percettivi, cosicché il paesaggio dell'anima si ritrovava,
immobile, nel limbo della contemplazione estatica. Aveva scritto in proposito
Marisa Vescovo: "La Via verso l'interiorità' è dunque
una via a ritroso)... ). L'artista, come vuole Benjamin, ribalta ogni
presunta sicurezza, presidiata dai valori 'umanistici', nell'infinita
discesa dentro la profondità di un soggetto che rimanda specularmente
ad un mondo reificato" ( 1 ). Questo mondo sigillato, sospeso, intangibile
pareva il delicato rifugio di ogni aspirazione salvifica: se si riusciva
a deporre lo spirito nello scrigno culturale di un passato eroico riproponendone
i riti, il pensiero poteva meglio sopportare le ingiurie e le insidie
di una contemporaneità paludata di divinità effimere, facilmente
ricambiabili secondo i gusti o i capricci di una nuova moda, magari sostituendo
semplicemente di volta in volta la veste all'idea.
Achille Sonito Oliva, che proprio in quel periodo era impegnato sul fronte
della tendenza da lui concepita, trovava in Di Giusto "una disponibilità
che attiene alla pittura stessa, quella appunto attuale, pronta a recepire
fuori da qualsiasi ortodossa e repressiva coerenza gli stimoli di una
sensibilità culturalmente eclettica" ( 2 ). Insomma, il nostro
artista aveva solo bisogno di un'ulteriore illuminazione per uscire dalla
sua torre eburnea e fare i conti effettivi con la contemporaneità.
Sotto tale aspetto si è rivelato decisivo l'Incontro" con
Carlo Carrà avvenuto negli ultimi anni. Il suo è il Carrà
de II pino sul mare te\ 1921, è il Carrà del "ritorno
alla pittura" che conclude l'esperienza futurista e metafisica. Se
il maestro piemontese è riuscito a recuperare una motivazione esistenziale
e pittorica non compiaciuta, "antigraziosa", per trasferire
la lezione di Masaccio e di Giotto nel proprio tempo, Walter Di Giusto
attraversa l'atmosfera rarefatta di quelle distillate immagini suggerite
dalla Liguria ( e di lì a poco dalla Versilia ) per cambiare il
proprio paesaggio dell'anima. Con questo comportamento egli pare allinearsi
con quella frangia tedesca della transavanguardia che ha in Merkens uno
dei più suggestivi e convinti esponenti. Ma questa è solo
una parentela di facciata, come di semplice facciata ( anzi, di filosofico
atteggiamento ) è il suo rapporto coi transavanguardisti nostrani.
Infatti Di Giusto si appropria dell'atmosfera creata da Carrà e
dei simboli a questa indissolubilmente collegati ( l'albero solitario,
il capanno, la vela che solca il mare agitato ) per ricucire un personale
discorso. Intanto immerge il racconto nelle varie tonalità dell'azzurro
che profumano dell'approssimarsi dell'alba o del preludio della sera.
In simili occasioni vengono evocate quelle ore che favoriscono il silenzio,
che inducono alla contemplazione interiore: significano l'inizio o la
fine del tragitto della luce che in simili dipinti non scompare, anzi,
si fa prezioso elemento di rimbalzo o di sorpresa per un'altra luce che
sembra scaturire dal quadro stesso. Se Notte italiana del 2001
è caratterizzata da piccoli globi lattei disseminati ancora su
un paesaggio tipico del precedente periodo, Vento notturno del
2003 respira già la Liguria apprezzata dal maestro alessandrino
prima a Moneglia e poi a Camogli. Comunque è l'approccio dell'attuale
mostra a determinare e a guidare l'emozione dei visitatori costretti a
entrare in un ambiente buio alimentato dalla presenza di due piccole tele
del 2006, Un giorno in campagna e Lago d'inverno. Sono
immagini propedeutiche allo spettacolo che segue e alla sorpresa, una
volta superata l'insolita anticamera, di aver assaporato l'interno di
un capanno tante volte raffigurato dal pittore di Quargnento. Poter vivere
( o avere la sensazione di vivere ) per qualche minuto in un quadro è
d'altronde un desiderio piuttosto diffuso tra gli amanti dell'arte: la
relativa emozione va centellinata in un sogno da dividere, passo dopo
passo, contemplazione dopo contemplazione, tra i dipinti distribuiti lungo
le pareti delle stanze. Un gioco che si ritiene possibile solo nelle favole.
E invece....Invece Di Giusto intende renderci partecipi del suo viaggio
introspettivo con questo ingegnoso stratagemma che favorisce il corretto
approccio percettivo di chi si accosta alle opere.
Usciti dal "capanno" ci si ritrova in un atrio al cospetto di due lavori del 2004, Gioco all'alba e II sognatore, e di uno del 2006, Liguria felix. Se il primo è un riflesso del tema dei Dioscuri affrontato da Carrà nel 1920, il secondo sembra voler mantenere ancora attivo il cordone ombelicale con la precedente struttura ambientale e climatica, mentre l'ultimo è il collante paesaggistico con la recente scoperta emozionale. Sono l'anticipazione o la sintesi di ciò che ci attende nelle due grandi sale interne. In mostra si possono infatti ammirare alcune tele estremamente significative del recente cammino intrapreso da Walter Di Giusto. Intanto La stanza della pittura, una grande tela del 2005 dal taglio metafisico, significa non solo una sosta contemplativa del passato prima del nuovo approccio paesaggistico che si intravede al di là della soglia, significa soprattutto quel tesoro di memoria che Di Giusto intende traghettare, grazie a Carrà, nella nuova esperienza. Si tratta di rinnovare quel silenzio arcaico, privo di presenze umane, sintetizzato da Giorno dopo giorno con la sottolineatura, nelle varianti dell'ocra, della costruzione di fondo. Questo spazio senza tempo, a differenza dei precedenti scenari di Walter, è idealizzato ma abitabile almeno con lo spirito nella sua rarefatta credibilità, al pari dei fondali dei giotteschi affreschi di Assisi. La contemplazione riposa nella consapevolezza di un possibile approdo consolatorio. La passeggiata misteriosa segna l'inizio dell'avventura alla ricerca di quella parte di sé smarrita nella vacuità del quotidiano, nel rito sterile di una rinnovabile superficialità, nella pennellata restauratrice di una fragile apparenza. Con II collezionista e con Atelier sul mare del 2004 si abbandona per un attimo il monocromatismo azzurrino per tornare ai toni terrosi che non solo sono tipici del precedente Di Giusto ma appartengono anche ai tenui paesaggi ( dove anche i verdi godono di una pacata opalescenza ) del Carrà di Forte dei Marmi. La citazione de II pino sul mare all'interno de il collezionista amplia la lama della solitudine che pervade l'intera scena. Da questo momento scegliere la via da percorrere lungo le pareti, legando un quadro all'altro, è compito del visitatore che deve seguire il personalissimo filo d'Arianna per ritrovare il personale rifugio o il personale appagamento estetico da individuarsi magari nella Casa del pittore o per affidarsi a un altro emblematico dipinto, In attesa del futuro, dove un arcobaleno fa da ponte a uno sguardo di speranza che dal molo si proietta verso l'infinito.
Walter Di Giusto deposita dunque la contemporaneità nel grembo di un tempo immobile, sperimentato a suo tempo da Carlo Carrà, dove la memoria riesce a colloquiare e a convivere coi più autentici e preziosi significati dell'esistenza. Oggi come ieri.
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